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Cancelli del nulla

 

Il fotografo è un architetto, professore di progettazione alla Facoltà di Architettura di Torino, quindi imprestato alla fotografia, il quale guarda ai cancelli della Puglia contadina con gli occhi di un architetto – Robert Venturi – ma ancora più di due fotografi molto amati – Luigi Ghirri e WimWenders: da loro ha imparato a guardare alle cose non solo e non più come occasione di composizioni sofisticate, ma piuttosto come occasioni di storie possibili.

Il cancello è da sempre una figura che solleva echi profondi nell’immaginario, archetipo ricorrente nelle fiabe, nei sogni, in cui promette o nega l’accesso ad un qualcosa che appare tanto più desiderabile quanto più è invisibile, misterioso; come in una fiaba, in un sogno, questi cancelli propongono immagini enigmatiche, sono cancelli del nulla perchè non portano da nessuna parte, accomunati da qualcosa di mancato, di inspiegabile, da un tono turbato.

è stato Robert Venturi, nel suo Learning from Levittown1, a richiamare l’attenzione sulla sequenza cancello/vialetto/villa nei suburbia americani, come sistema dotato di senso, rivelatore del carattere della casa, del suo proprietario: «…i simboli e segni ordinari dell’ambiente residenziale e commerciale non sono riconosciuti, ma sono significativi nella nostra vita quotidiana… nell’imparare a capire i nostri simboli e segni, noi possiamo capire meglio noi stessi e il nostro paesaggio, e capire la ragion d’essere dell’ambiente fisico è il necessario presupposto per migliorarlo…» e poi ancora «…gli elementi fisici della periferia suburbana – le strade, i cancelli, i vialetti e i prati, le porte d’ingresso e i tetti delle case, – servono a scopi pratici, come dare accesso e riparo, ma servono anche come modi di esprimersi per gli abitanti, che li usano per parlare agli altri di sé stessi… una comunicazione che riguarda principalmente la posizione sociale, le aspirazioni sociali, l’identità personale, la libertà individuale, e la nostalgia per tempi passati e posti lontani…» ed infine «…i diversi elementi dello spazio suburbano sono anche portatori di messaggi simbolici, comunicano il loro messaggio a scale differenti, che dipendono dalla distanza dalla quale sono letti… agiscono come richiamo visivo tra la casa ed il marciapiede, che vi raggiunge attraverso il prato, legando gli aspetti simbolici dell’architettura all’auto in movimento. Il cancello, il vialetto e la casa, hanno un impatto che la pura forma architettonica non potrebbe mai avere, per lo meno prima che voi passiate ad un’altra casa…».

Venturi intendeva suggerire agli urbanisti, architetti e pianificatori, di studiare il paesaggio urbano contemporaneo senza pregiudizi, e specialmente il significato simbolico che la gente investe in esso. «...Così facendo questi urbanisti impareranno più di quello che già sanno sui bisogni, i gusti e le preferenze della gente la cui vita essi influenzano, e in particolare riguardo ai gusti dei gruppi i cui valori non coincidono con i loro...».

Le osservazioni di Venturi erano nate nelle periferie americane, fatte di casette unifamiliari, di qui la tentazione, da professore in vacanza, di provare ad applicarle nei territori ai margini dei piccoli centri storici, nei quali la casa unifamiliare è tipo prevalente. Il tentativo di applicare in pratica le categorie proposte da Venturi, mi ha poi portato a contribuire in modo originale, ad individuare sul campo un’altra terna di categorie – a scala minore, di grana più fine – all’interno della categoria "cancello" e cioè: cinta, pilastri e cancello vero e proprio.

Anni dopo è stato Luigi Ghirri2 a guardare attraverso la macchina fotografica i cancelli– questa volta quelli della campagna emiliana – per raccontare il carattere costruito, "architettato", non solo delle città, ma anche del paesaggio rurale, a dare l’esempio di uno sguardo capace di coniugare antropologia e poesia.

Dalla prima vacanza in Puglia, a Martina Franca, ho cominciato a guardare ai cancelli della Valle d’Itria prima con gli occhi di Robert Venturi, poi di Luigi Ghirri; e, anno dopo anno, lo sguardo, liberato dai compiti immediati imposti dalla routine torinese, ritornava sui cancelli: prima su quelli "architettati", antichi e moderni, in cui ritrovavo una verifica delle osservazioni di Venturi, ma poi anche su cancelli recenti, "anomali", in quanto con loro il sistema di segni diventa incompleto, contraddittorio, assurdo. Incompleto perché manca uno dei termini – la casa – quando non due – la casa e la strada – contraddittorio perché viene così alterata la logica della sequenza, la gerarchia dei suoi elementi: qui si fa il cancello prima della casa, a volte ci sono solo i pilastri, ma altre volte il cancello è già finito e rimane per anni solo ed inutile in mezzo ai prati; assurdo perché spesso il cancello viene bloccato da massi per impedire l’accesso, negando la ragione stessa della sua presenza. Lo sguardo con cui guardavo a questi cancelli era sempre più lo sguardo di Ghirri, da cui avevo imparato a guardare alla campagna come ad un mondo che può anche rivelarsi misterioso, perfino pauroso; lo sguardo con cui Wenders aveva guardato alla desolazione del Sudovest durante la lavorazione di Paris-Texas, al vuoto degli spazi australiani durante la lavorazione di Fino alla fine del mondo.

La ricerca dei cancelli "anomali" ha avuto limiti temporali e territoriali forzati, perché si è estesa fin dove riuscivo ad arrivare nelle poche ore tra il ritorno dal mare e la cena sotto la pergola davanti al trullo nell’ultima luce, così era già finita quando ho letto nel libro di Tommaso Ciaula sulla Puglia3 questi versetti tratti dal Libro delle Lamentazioni: «…ha murato le mie strade con blocchi ben squadrati, ha reso impercorribili i miei sentieri...» con l’emozione di chi sente in un’altra voce inattesa l’eco della sua, di chi forse è riuscito a capire qualche cosa di una persona, in questo caso di un paese.

Insiemi eterogenei come questo delle immagini dei cancelli rurali della Valle d’Itria, messo insieme da vagabondaggi casuali, possono acquistare senso solo se ordinati da un’attività di catalogazione che faccia affiorare strutture latenti, attività che non è però univocamente determinata una volta per tutte, ma può seguire criteri e dare risultati diversi a seconda degli interessi prevalenti in occasioni diverse: così qui si danno tentativi diversi di catalogare l’universo dei cancelli, tentativi orientati non tanto a fatti precisi – luogo, proprietario, autore – oppure a fatti dimensionali, quantitativi, quanto piuttosto a cogliere il "carattere" dei cancelli, il loro rapporto con il contesto, con il tono del paesaggio, la loro capacità di suggerire una storia.

Cataloghi di cancelli

Una prima catalogazione parte dall’evidenza più immediata: che la triade venturiana sia completa o no, che il cancello neghi sé stesso, perché lascia passare tutti o non lascia passare nessuno.

Cancelli canonici. Sono i cancelli che riuniscono nel modo canonico i tre elementi individuati da Venturi:

– cancello, vialetto, casa – ordinati in una sequenza logica e progressiva, nella quale si confermano uno con l’altro; alcuni compaiono qui solo per rendere più evidenti le differenze con i cancelli del nulla, in quanto sono cancelli di qualcuno, per qualcosa.

Cancelli anomici. Sono i cancelli che fanno parte di sequenze disordinate, contraddittorie, incomplete, qui catalogati sommariamente come segue.

Cancelli sempre aperti. Sono i casi in cui il cancello è sempre aperto o non c’è del tutto, ci sono solo i pilastri. In questi casi lo sguardo è invitato prima dall’apertura, poi è attratto dalla strada diritta, dal segreto che ci aspetta in fondo e che ci viene promesso così semplicemente. Una variante estrema è quella in cui il cancello è isolato, oppure non esiste strada, così che il cancello è immerso nel vuoto, è cancello del nulla in quanto non si capisce perchè si dovrebbe attraversarlo, per andare dove.

Cancelli sempre chiusi. Sono i casi in cui il cancello c’è ed anche ben chiuso, a negare l’accesso che il cancello aperto promette a tutti, a rendere più misterioso e desiderabile, in quanto vietato, il segreto che ci aspetta in fondo alla strada. Questo che è il caso più normale presenta una variante assurda che è quella in cui il cancello chiuso è isolato, privo di qualsiasi ragione di esistere.

Cancelli ostruiti o murati. Sono i casi nei quali i cancelli, aperti o chiusi che siano, sono comunque non attraversabili perché ostruiti in modi e con materiali diversi: dai sassi ai tronchi, dagli sterpi alla vegetazione, dalle gomme usate ai rifiuti. Il mistero non è più nascosto nella lontananza, ma è davanti a noi, ci sfida con la violenza senza senso di questo gesto. Il caso estremo è quello dei cancelli murati con pietre o blocchi ben connessi in modo da rendere impossibile una veloce riapertura del passaggio, da privare una volta di più il cancello della sua ragione di esistere. In tutti questi cancelli colpisce la sfiducia verso il divieto scritto, al quale qui si preferisce un’azione decisa ed energica: qui l’azione viene prima della parola, elimina discussioni e tentativi di aggirare il divieto, di contrattare eccezioni, afferma un diritto o, addirittura, minaccia una ritorsione, e, quando compare una scritta, racchiude altrettanta violenza: «zona avvelenata».

Una seconda classificazione potrebbe essere tentata sulla scorta di categorie rilevate come emergenti nel repertorio delle immagini, attorno alla categoria centrale del cancello, utilizzando categorie di tipo temporale, concettuale: "prima del cancello", o anche, "l’idea di cancello", quando il cancello non c’è ancora ma c’è qualcosa che ad esso rimanda, ne segnala l’intenzione, ne attende l’arrivo, "invece del cancello", quando il cancello è sostituito da qualche cos’altro, diventa un ready made realizzato con la prima cosa che capita, dai sassi ai massi, dalle gomme alle reti, ed infine "pilastri senza cancelli" e "cancelli senza pilastri", categorie che al proprio interno contengono categorie alternative dal punto di vista temporale: prima o dopo.

È sufficiente cambiare anche di poco il punto di vista per costruire catalogazioni diverse, come questa, costruita sull’esempio della catalogazione fantastica delle prose proposta da Gianni Celati in un numero de «Il semplice», pubblicazione nata nell’Emilia di Luigi Ghirri negli anni ’904.

Cancelli che si capisce subito a che cosa servono, perché si vede bene il vialetto e in fondo la casa; cancelli sempre aperti che lasciano entrare tutti, che invitano a entrare seguendo il viale lungo e diritto, che non si capisce dove porta; cancelli che non lasciano passare nessuno, ma non si capisce bene a cosa servano, perché non c’è il vialetto, non c’è la casa; cancelli sempre chiusi che si capisce solo dopo che non servono a niente, perché tutti possono girargli intorno, anche se non si vede per andare dove; cancelli che non si possono aprire perché sono ostruiti da rami, da viti, da gomme, da sassi, da rifiuti; cancelli che non si possono aprire proprio mai perché sono murati, con pietre a secco, con pietre squadrate. Ci sono poi le strade che non si possono percorrere perché sono ostruite anche loro da rovi, da pietre, da barriere.

C’è poi una quarta catalogazione che è nata per suddividere le immagini ed è quella poi adoperata per costruire dei piccoli "capitoli" in cui raggruppare le immagini.

Tutte queste diverse situazioni, prodotte da strategie utilitaristiche molto concrete, possono avere spiegazioni concrete, razionali, ma qui interessa richiamare l’attenzione su un aspetto che passa inosservato: nello spostare le parti della triade venturiana – cancello, vialetto, casa – nell’introdurre nella triade parti insolite anche se comuni nel paesaggio rurale – pietre, massi, tronchi – o comunque appartenenti alla vita quotidiana – gomme, rifiuti – gli attori di queste strategie involontariamente finiscono per fare qualcosa di vicino a quello che fa la poesia, che lavora inventando parole nuove, ma anche solo cambiando l’ordine del discorso, cambiando di posto le parole, quelle che tutti usano tutti i giorni, e ce le rende così nuove, misteriose e seducenti.

NOTE

1 ROBERT VENTURI - SCOTT BROWN, On houses & housing, Academy Edition, London, 1992.

2 TOMMASO DI CIAULA, Acque sante, acque marce, Sellerio, Palermo, 1997.

3 LUIGI GHIRI, Infinito, Biblioteca Meltemi, Roma, 2001.

4 GIANNI CELATI, Almanacco delle prose, in «semplice», Feltrinelli, Milano, 1995.

 

Per eseguire il download del catalogo cliccare sul seguente link: Catalogo.pdf